Madri parallele di Pedro Almodovar 2021
Janis è una fotografa affermata che si avvicina alla quarantina senza una relazione stabile. Contatta un archeologo per fare riesumare i corpi del suo bisnonno e altri miliziani trucidati al tempo della guerra civile di Franco. Quando lo rivede ha una storia con lui che è già sposato e, senza averlo programmato, si trova incinta. Decide di tenere il bambino da sola rompendo la relazione perché lui vorrebbe farla abortire.
Ana, una ragazzina figlia di un’attrice alla ricerca del successo, subisce una violenza di gruppo e si ritrova incinta. Ricattata attraverso il porn revange non denuncia gli stupratori per non rinnovare il dolore. Janis e Ana si trovano a partorire nella stessa stanza e diventano amiche. Le bambine appena nate sono tenute in osservazione per problemi diversi che si risolvono presto.
La figlia di Janis, Cecile ha caratteri somatici simili a sudamericani e lei pensa sia dovuto al suo bisnonno. A causa di questi il padre mette in dubbio che sia figlia sua. Lei è invece sicura tanto da rompere ogni relazione con lui. Quando tuttavia scopre, con un test, che la bambina non è neanche figlia sua intuisce la verità e cambia numero di cellulare per non farsi trovare dalla amica. La incontrerà per caso apprendendo che la figlia è morta nel sonno per “morte in culla” causata da mancata respirazione. A questo punto la verità verrà fuori ma Janis non la svela all’amica. La vuole però con sé come amante e per accudire la bimba. Quando tutte le carte sono scoperte Ana si allontanerà e lei cercherà una seconda possibilità con l’archeologo che intanto si è separato dalla moglie.
Un film che indaga sull’universo femminile e sulle tante sfaccettatura dell’essere madre, rese ancora più complicate dalla scoperta di non avere una figlia biologica. Almodovar sviluppa poi, come sempre, tematiche politiche facendo emergere verità che molti vorrebbero sepolte e smascherando le atrocità del regime dittatoriale. Janis, interpretata magistralmente da Penelope Cruz che ha vinto la Coppa Volpi al festival di Venezia come miglior attrice, fa emergere tutte le sfaccettture di una donna che vuole mantenere la sua indipendenza sia nel lavoro che nelle relazioni ma insieme dare tutto il suo amore alla figlia. Una donna forte, fragile a volte, risoluta ma dolce e decisa insieme controversa. Dall’altra parte, Ana va alla ricerca di una propria dimensione sentendosi come abbondonata da genitori egoisti e poco presenti. L’interpretazione mette ben in luce le paure, le debolezze e insieme il suo oscillare tra la depressione dopo la terribile scoperta e la voglia di affermarsi e diventare finalmente libera. Almodovar tratta questi temi con molta delicatezza e qui è lontano da toni forti e trasgressivi che avevo caratterizzato molti dei suoi film. A lui interessa entrare nell’ niverso femminile e raccontare le dinamiche psicologiche che tormentano le protagoniste. Le figure maschili sono assenti, marginali o come nel caso di Ana veri e propri carnefici. Il film è ambientato quasi esclusivamente in interni assumendo così i caratteri di un’opera teatrale più che cinematografica, a parte le ultime scene dello svelamento dei corpi dei miliziani davanti alle madri le figlie e le nipoti. Nonostante un trama complessa e ricca di colpi di scena, il film non assume mai i caratteri del melodramma e sceglie piuttosto il silenzio o il gelo espressivo per esprimere i momenti più drammatici e dolorosi di un lutto che attraversa le due protagoniste segnandone l’esistenza.
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